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Federico Cafaro

Il pesce da allevamento ~ Parte 1 ~ Acquacoltura

Gli stock ittici sono in pericolo da diversi decenni a causa del sovrasfruttamento umano. Si stima che nell’arco di alcuni anni si assisterà all’estinzione di alcune specie acquatiche se non si inverte la rotta il che significa ridurre la quantità di pescato, praticare metodi di pesca sostenibile e di salvaguardia dell’ecosistema.


L’acquacoltura si pone come alternativa al prelievo di pesce selvatico garantendo una produzione più elevata a fronte di prezzi più accessibili per il consumatore finale.

La pratica dell’acquacoltura consiste nell'allevamento di organismi acquatici, principalmente pesci, crostacei e molluschi, ma anche la produzione di alghe, in ambienti confinati e controllati dall'uomo.


L’industria dell’acquacoltura è in costante crescita causa il generale aumento della domanda di pesce nella popolazione ed il sovrasfruttamento degli stock ittici.

Il grafico della Fao riporta visivamente l’andamento dell’acquacoltura dal 1990 al 2018.


“The State of World Fisheries and Aquaculture 2020”, FAO


Esistono 3 tipologie di acquacoltura: estensinva, intensiva, iperintensiva.

Estensiva Tipicamente vallicoltura marina e la stagnicoltura. Si tratta di bacini confinati, al di fuori dell’ambiente marino che si mantengono grazie all’immissione di cibo e acqua. Densità e produzione sono legati alle caratteristiche del bacino. Acquacoltura intensiva e iperintensiva

Vedono un aumento della densità e della produzione mediante immissione di mangimi dall’esterno.

  • In un sistema aperto (mare) i reflui prodotti vengono dispersi nell’ambiente circostante e vi è un ricambio continuo di acqua;

  • In un sistema chiuso (stagni) dev’essere effettuato il ricambio continuo dell’acqua e lo smaltimento dei reflui


Le problematiche principali di questa pratica sono legate principalmente a:

  • densità di popolazione (affollamento dei bacini)

  • smaltimento dei reflui biologici prodotti dagli animali

  • gestione delle patologie e somministrazione di farmaci

  • benessere degli animali


In un mondo ideale l’acquacoltura verrebbe praticata in maniera estensiva, senza forzare eccessivamente il bacino, preferibilmente in un sistema chiuso in maniera da recuperare le deiezione che potrebbero essere impiegate come fertilizzante. Il sistema chiuso permette inoltre di controllare le patologie che potrebbero diffondersi nella comunità e di somministrare farmaci in maniera mirata, evitando che questi si diffondano nell’ambiente circostante. In ultimo, ma non per importanza, bisognerebbe praticare un allevamento “etico”:

  • evitando il sovraffollamento che causa malessere ai pesci;

  • arricchire l’ambiente e fornire stimoli per i pesci;

  • evitare inutili sofferenze al momento del macello;

  • evitare l’ingrasso degli animali fornendo mangime oltre il necessario allo scopo di accumulare quanto più “peso vendibile” nel minor tempo possibile.



Inutile sottolineare che quanto descritto rimane ad oggi un’utopia dal momento che la logica dominante impone di minimizzare i costi per massimizzare l’offerta al miglior prezzo al fine di massimizzare il profitto.


"Environmental risk of marine acquacolture"


L’acquacoltura praticata nella grande maggioranza dei casi è identificabile nel sistema qui illustrato. Essa presenta numerose problematiche:

  1. alimentazione insostenibile la maggior parte dei pesci allevati sono carnivori pertanto vengono nutriti con mangimi costituiti da pescato di piccola taglia come alici, sardine, sgombri ecc. insomma si pesca pesce perfettamente adatto al consumo umano (anzi, il più salubre) per nutrire altro pesce di qualità nutrizionali e organolettiche inferiori. Questo genere di alimentazione è insostenibile dal momento che sono necessari diversi kg di mangime (quindi di pesce pescato) per ottenere 1 kg di prodotto; nel caso del salmone il rapporto è 4 a 1.

  2. Dispersione di farmaci nell’ambiente: se un esemplare del sistema si ammala verranno automaticamente contagiati anche tutti gli altri animali a causa del sovraffollamento cui sono costretti; ciò implica che debbano essere tutti curati attraverso somministrazione indiscriminata di farmaci. In un sistema aperto i farmaci fuoriescono dalle reti e si diffondono anche nell’ambiente circostante.

  3. Antibiotico-resistenza e sviluppo di nuovi patogeni: l’impiego di antibiotici in acquacoltura è enorme ed indiscriminato ciò favorisce lo sviluppo di microrganismi resistenti ai farmaci; il sovraffollamento favorisce diffusione di patogeni, più questi proliferano più sviluppano mutazioni e diventano pericolosi.

  4. Dispersione delle deiezioni nell’ambiente: una popolazione di animali enorme che vive in uno spazio ristretto produce una quantità di escrementi enorme, intuibile. Le deiezioni precipitano al di sotto delle reti tappezzando il fondale marino ed alterando in maniera irrimediabile l’ecosistema. L’aumento della quantità di azoto nell’ambiente causa il fenomeno dell’eutrofizzazione: proliferazione di alghe microscopiche e batteri che comporta un aumento del consumo globale di ossigeno provocando la morte dei pesci e della biodiversità.

  5. Fuga di specie alloctone: talvolta i pesci di allevamento riescono a fuggire dalle reti e fuggire in mare aperto; la fuga di specie estranee ad un dato ecosistema potrebbe rompere l’armonia dello stesso causando, ad esempio, l’affermarsi di specie invasive.

  6. Maltrattamento degli animali: il sovraffollamento e la vita monotona, priva di stimoli, causano negli animali fenomeni di aggressività reciproca;

Per approfondire


La qualità che se ne va

Lo scopo dell’allevamento intensivo è generare profitto, quanto più possibile.

Per massimizzare la resa bisogna massimizzare la produzione che significa generare la maggior quantità di prodotto vendibile nel minor tempo possibile.


Come? Molto semplice, nutrendo gli individui fino a renderli obesi.

Tanto sul mercato non si vende grasso e muscolo separatamente ma tutto fa brodo o meglio, tutto fa peso.


Il pesce che generalmente viene venduto come allevato, arriva solitamente da acquacoltura intensiva. I maggiori produttori di orate e branzini sono (dati 2015):

  • Grecia (94120 tonnellate)

  • Turchia (74910 tonnellate)

  • Spagna (35870 tonnellate)

  • Italia (12120 tonnellate)


In natura un’orata impiega circa 28 mesi per giungere ad una taglia di 400 g

Si tratta di un pesce carnivoro che si nutre esclusivamente di altri pesci, assume quindi un quantitativo di grassi abbastanza limitato.

In acquacoltura intensiva ne bastano 14, la metà.

I mangimi utilizzati forniscono un apporto di grassi variabile da 12 a 30 g su 100 g di prodotto in base alla natura dell’allevamento e alla fase.



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